Buongiorno a tutti e tutte, sono un’ insegnante di scienze umane e filosofia. Sono qui per dare una mia testimonianza e raccontare come sono diventato insegnante di scienze umane.
Sarò un po’ crudo e diretto, ma il più possibile realista. Non sono abituato a fare discorsi retorici sulla scuola. Per cui partirò dalla mia esperienza personale.
La prima parte del mio intervento avrà un taglio per così dire destruens, la seconda cercherà di sviluppare delle riflessioni e delle proposte concrete. Proverò a ragionare con voi sul senso che per me ha la scuola oggi.
Oggi sono un docente di “ruolo” presso il liceo delle scienze umane di Novara. Di ruolo si dice. “Ruolo” deriva da rotulus e in latino è radice del verbo “rotolare”. Penso che questo “rotolare” sia un tratto caratteristico del corpo del docente. Una carriera piena di inciampi e rotolamenti.
Sono “di ruolo”, ho “il posto fisso”, ma non mi sento per niente arrivato, non mi sento per niente soddisfatto, anche perchè il posto nella scuola te lo danno prima di tutto gli allievi. Sono gli allievi che insegnano. Sono gli allievi il tuo datore di lavoro. Noi insegnanti – come diceva Pasolini – siamo fatti per essere mangiati. Non si può essere insegnanti senza dunque essere segnati.
L’esperienza che vi racconterò è un’esperienza impossibile, fatta di inciampi e di rotolamenti all’interno di un sistema assurdo.
Un sistema che non solo ha dimenticato il suo ruolo nella società ma che è diventato una vera e propria macchina del controllo da cui sembra difficile uscire. L’esperienza di decenni dovrebbe avermi messo nella condizione di conoscere ogni ingranaggio della macchina ministeriale scolastica, invece non è così.
Non so se la generazione prima della mia abbia dovuto affrontare lo stesso iter. Forse “si stava meglio quando si stava peggio”. Forse anche voi avete avuto modo di affrontare il lungo percorso formativo abilitante così come richiesto dall’articolo 59 della legge 79/2022. Non lo so.
So che questa è la mia esperienza e il problema del precariato scolastico, da qualsiasi punto di vista lo si guardi, sta diventando uno dei più drammatici dell’Italia di oggi.
Solo che non la sai fino a quando la provi sulla pelle.
So che oggi sono di ruolo anche perchè ho superato due concorsi: quello ordinario e quello straordinario BIS. Di questo vi parlerò dopo.
Ho iniziato a lavorare a scuola a ventitré anni. I primi nove anni (i più belli della mia vita) presso un’agenzia formativa e professionale a Novara.
Questa agenzia, che afferisce alla regione Piemonte, riceve fondi europei per la formazione professionale e vengono gestiti da una cooperativa di Torino che l’ha rilevata nel 2010 dopo il fallimento della vecchia scuola professionale.
Presso questa agenzia ho lavorato nove anni con contratti annuali a progetto, i famosi coccodè e CO.CO.CO.
Non è della contrattazione che vorrei parlarvi.
Questa agenzia formativa è stata nella mia vita professionale un incontro fondamentale e necessario a cui – nonostante la miseria contrattuale – guardo con infinita gratitudine.
Per lavorare in questa agenzia si deve essere non solo competenti e formati ma anche molto motivati.
Bisogna essere dei “G” come dicono gli studenti perché questa scuola è street, questa scuola è real!
Per lavorare in questa agenzia bisogna essere gonfi di desiderio, perché ogni giorno è una sfida, un nuovo inizio.
La scuola professionale è la scuola in cui si ricomincia da capo.
E’ la scuola dove hai spesso la sensazione che il tuo lavoro non serva a nulla.
“Non studiano perché non hanno voglia”, “sono irrecuperabili”, “accontentati” quello che ho sentito dire più spesso nel mainstream della classe docente.
E’ la scuola in cui si deve essere capaci di tollerare molta frustrazione perché i ragazzi e le ragazze che incontri ogni giorno sono la spazzatura del sistema scolastico pubblico.
Quel sistema scolastico che non ha imparato niente da Don Milani, Frenet, Freire, Dewey o Mario Lodi e continua a far danni.
E’ la scuola di ragazzi e ragazze che ogni giorno ti portano le loro fragilità con tutto il carico sofferenze, ma anche quella esplosiva e spontanea gioia di vivere che sbuffa come vulcano d’Islanda.
Pluribocciati, neet, casi seguiti dagli assistenti sociali, vittime con famiglie disfunzionali ed esclusi sistematicamente dalle nostre “scuole pubbliche, universali e gratuite” con logiche sempre più segregative.
Su questi scarti ogni giorno si prova a costruire pietre angolari.
Su questi scarti ogni giorno si cerca di dare ascolto, parola e riconoscimento ai giovani.
Sui questi scarti ogni giorno si offre un’opportunità per ripartire, un’occasione di legame per chi ha perso speranza nella scuola e nel lavoro.
Su questi scarti ogni giorno decine di insegnanti costruiscono con i ragazzi orizzonti di senso.
Questa scuola è il pronto soccorso del sistema scolastico italiano, un pò come in ospedale, si lavora d’urgenza come in un campo di guerra.
Se non si è bravi a gestire tutto questo emotivamente si rischia il burn out dopo un anno.
Qui ho lavorato per anni con un’equipe di docenti fantastica.
Qui ho imparato l’arte della pedagogia e della relazione umana. Una pedagogia mai ingenua e sempre attenta al singolo studente o studentessa: alle sue emozioni, alle sue capacità, abilità, aspettative, sogni.
Dopo cinque anni in questa scuola ho cominciato a guardare in prospettiva e ho capito che non ci sarebbe stata possibilità di avere una stabilizzazione.
Oggi lo posso dire. Se avessi avuto questa occasione nel 2015, probabilmente la mia vita avrebbe preso un altro corso.
Oggi è una regola lavorare nelle agenzie formative o nelle scuole paritarie con contratti di collaborazione o a partita iva. Non lo ritengo accettabile perché questo deve essere un’eccezione, non una norma. Ma il lavoro nelle agenzie educative o in quelle gestite da cooperative non riguarda solo i docenti, ma anche gli operatori del sociale, gli educatori professionali. Oggi chi fa l’educatore è un libero professionista.
In un certo senso, ringrazio questa agenzia per la precarietà che ho vissuto senza troppe ansie o paranoie.
E’ vero. Le condizioni e le situazioni di un’esistenza possono essere decise dall’alto, da chi gestisce la scuola come un’azienda.
Ma è anche vero che la vita accade.
Così, nel 2018 ho deciso di provare ad entrare nella scuola pubblica.
E qui è iniziata una nuova odissea.
Nel 2018 mi sono iscritto alla graduatorie di terza fascia e sono entrato al liceo delle scienze umane nel periodo serale.
Ricordo ancora il primo giorno di assunzione, quando ancora le convocazioni si facevano di presenza e non virtualmente.
Ricordo che la cattedra serale non la voleva nessun candidato/a della graduatoria.
Non lo sceglieva nessuno per due motivi: 1) era la scuola serale (e quindi non aveva lo stesso prestigio di una cattedra diurna) 2) il contratto durava fino al 30 giugno.
Molto meglio scegliere una supplenza di sostegno con contratto al 31 agosto per evitare di perdere due mensilità.
Ho scelto il serale. Ed è anche qui è stata un’altra esperienza meravigliosa.
Ho iniziato a lavorare nella scuola pubblica partendo dal serale, quasi fosse in continuità con l’esperienza a Filos.
Se a Filos avevo i figli con tutto il loro disagio. Qui avevo i genitori di quei figli, con tutto il loro disagio.
Ho incontrato soprattutto studenti lavoratori.
Persone che lavoravano otto-dieci ore al giorno e con i turni in fabbrica o in ospedale. Persone che venivano a scuola finita la giornata di lavoro e senza mai lamentarsi.
Ho incontrato persone con storie lavorative allucinanti.
Lavoratori in esubero o licenziati senza giusta causa da aziende novaresi prestigiose.
Ho incontrato madri con sette-otto figli.
Ho incontrato persone di ogni nazionalità. Dal Bangladesh alla Nigeria, dalla Tunisia all’Egitto. Dalla Cina al Brasile.
Ho incontrato ragazzi e ragazze con esperienze scolastiche traumatiche e fallimentari.
Ho incontrato studenti con disagio psichico, con malattie gravi e disabilità cognitive.
Ho conosciuto persone straordinarie che mi hanno ulteriormente arricchito.
Storie di riscatto. Storie di vita spesso sconosciute perché comuni, normali, ma che nella loro ordinarietà sono straordinarie.
Ho cominciato a lavorare nella scuola pubblica prima con una cattedra serale, poi con una mista diurno e serale (per due anni consecutivi), poi ancora cattedra diurna e infine cattedra mista diurna e serale.
Insomma ho fatto un po ‘ di gavetta. E da quest’anno (ho 37 anni) sono di ruolo.
Sono contento perché è il lavoro che mi piace. E quando fai il lavoro che ti piace, sei ricco.
Perchè è vero: faccio un mestiere impossibile, ma è il mestiere più bello del mondo!
Lo dico senza troppi girotondi, mi ritengo un privilegiato.
Ci sono colleghi (parlo per il Piemonte) che ho conosciuto durante i concorsi entrati nella scuola pubblica molto prima di me. Qualcuno anche con dieci, quindici anni di precariato alle spalle.
Professionisti che come me hanno conosciuto un sistema assurdo fatto di regole e leggi ambigue, ingiuste, segregative.
Leggi, bandi e regolamenti che non appena capisci, vengono cambiate dal governo di turno l’anno successivo.
Colleghi che continuano a vivere questa incertezza, questa precarietà che è prima di tutto esistenziale e poi reale.
Colleghi che non hanno mai avuto una prospettiva chiara.
Colleghi a cui la scuola non ha mai guardato con investimenti a lungo termine ma come carne da cannone elettorale.
Colleghi che nonostante le incombenze familiari, le distanze territoriali decidono di restare in in questa corsa che diventa sempre più squalificante e oppressiva.
Colleghi che resistono perché amano il loro lavoro!
Dicevo che non è stato facile entrare nella scuola pubblica.
Ho dovuto studiare tanto, ma oggi lo studio, la formazione per diventare insegnante non basta.
Attenzione. Non voglio difendere la categoria dei docenti tout court con quella tipica velleità idealistica, sindacale, progressista ed egualitaria.
Sono consapevole che il primo problema della scuola riguarda la selezione e la formazione dei docenti. So che esistono i docenti, gli indecenti e gli innocenti.
So che le competenze pedagogiche, psicologiche, organizzative, didattiche, giuridiche che si richiedono ad un docente sono quanto mai necessarie. Ma queste sono competenze che riguardano il “fare l’insegnante”, mentre qui cerco di imbastire un discorso sull’ “essere insegnante”.
COME ESSERE INSEGNANTI IN UNA SCUOLA ASSURDA?
Come “essere insegnanti” in un sistema scolastico come il nostro?
Dico assurdo perchè quello che vi racconterò è assurdo.
Un vero è proprio divorzio fra il lavoro di docente e la scuola come istituzione.
Ciò che è assurdo è il confronto tra questa irrazionalità della scuola con il desiderio violento e di chiarezza di chi la abita.
La scuola è oggi un luogo oscuro, una macchina infernale che se non si sta attenti può creare dipendenza e ucciderti.
Si prende coscienza ad un certo punto che il sistema è questo e non è modificabile.E’ una impotenza riflessiva. E per quanto assurdo e ingiusto ad essa non puoi sottrarti.
Questo vale sia per gli studenti che per i docenti.
Il sistema scolastico negli ultimi 30 anni è diventato una grande macchina kafkiana in fase di ridimensionamento. Essa prevede una continua frammentazione di funzioni, organi collegiali, dispositivi che ricordano molto il regime carcerario immaginato da Foucault e Burroughs.
Facendo leva su una posticipazione indefinita, l’istruzione è un processo continuo e infinito come la catena di montaggio. L’intera vita lavorativa è segnata da una successione di aggiornamenti, il lavoro te lo porti a casa, lavori da casa e sei a casa a lavoro.
Si dice che il sistema scolastico finanziato pubblicamente non possa letteralmente respingere uno studente. Ed è vero.
Ma noi viviamo un paradosso. Le risorse allocate per la scuola si basano sia su quanto queste risorse riescono a raggiungere obiettivi specifici sia sul tasso di frequenza e di mantenimento degli studenti.
Nell’agenzia formativa in cui ho lavorato per esempio, funziona così. I soldi li prendi sulla base degli studenti che riesci a mantenere per cui rimandare di un anno, riorientare possono diventare un problema prima di tutto economico (e poi educativo) per la congiuntura di condizioni.
Anche al serale se fai l’80 per cento di assenze e queste sono giustificate da un medico puoi venire scrutinato lo stesso. E così anche nella scuola pubblica dove le assenze non devono superare il 25%.
Questa combinazione di imperativi di mercato e quelli che burocraticamente vengono chiamati target è un tipico tratto dallo stalinismo di mercato che attualmente regola i servizi pubblici. Tutti i servizi pubblici. Se si pensa all’ospedale è già così da decenni.
E su questo substrato che si imposterà l’autonomia differenziata proposta dal governo attuale.
Qui noi viviamo una scolarizzazione di massa, libera, gratuita e universale ma questa libertà scolastica risponde a logiche di mercato.
La conseguenza è che l’assenza di un vero e proprio sistema disciplinare non è stata compensata da un aumento della motivazione degli studenti, anche perché questi sanno benissimo che possono pure non frequentare le lezioni per settimane intere, possono pure non svolgere alcun lavoro o compito e non ci sarà comunque nessuna sanzione.
A questa libertà in genere gli studenti reagiscono non dedicandosi a progetti propri, ma cedendo ad un inerzia, cioè ad uno stato soffice di narcosi, all’oblio della playstation o Brawl Stars, alle maratone notturne alla televisione, alla marjuana.
Provate a chiedere a degli studenti del serale o delle agenzie professionali di leggere un paio di frasi e loro vi risponderanno che non ce la fanno: e ricordatevi che stiamo parlando di scuola superiore.
La recriminazione più comune è che leggere è noioso. Solo che l’oggetto della lamentela non è tanto il contenuto scritto dei materiali quanto il banale atto di leggere.
Essere annoiati a scuola significa semplicemente venire esiliati dallo stimolo e dall’eccitamento comunicativo dei messaggi su whatsapp, dalle notifiche su tik tok, dal fast food, significa essere costretti a rinunciare anche solo per un momento dal flusso costante di una zuccherosa gratificazione on demand.
Ci sono studenti che vorrebbero Nietzsche allo stesso modo in cui vorrebbe un hamburger. Quello che non colgono è che è l’indigeribile ad essere Nietzsche.Oggi infatti il sapere viene venduto in pillole.
È la scuola youtube, la scuola gamification della conoscenza. È il sapere Ikea. Il sapere in moduli. Oggi a scuola se pensi, sei fottuto.
La scuola sta quindi perdendo la sua funzione primaria: quella di imparare a pensare.
E qui che entriamo noi insegnanti, con il nostro desiderio e la nostra passione. Noi docenti “fatti per essere mangiati” al posto Nietzsche, cui interpretiamo incarnandosi.
Questo per dire che oggi i nostri competitor non sono i colleghi di sostegno, gli educatori, i counselor, gli orientatori o i motivatori (con cui spesso facciamo la guerra).
I nostri competitor oggi sono il touch screen e le cuffie bluetooth.
Ora se a tutto questo non si è preparati il rischio di finire ad essere solo un ingranaggio della macchina, una funzione strumentale è alto.
Noi docenti siamo sempre più visti dalla scuola come strumenti o operatori e non più come persone.
Una delle altre aporie che la scuola italiana malthusiana produce è duplice. Da una parte il controllo e la sorveglianza, dall’altra la disciplinata burocratica. Tutto questo ha degli effetti sulla salute mentale di chi la abita.
Sarà forse per questo che ⅓ dei docenti in Italia finisce in psichiatria?
Perché non si parla di depressione, di ansia da prestazione, di difficoltà di apprendimento, di analfabetismo disfunzionale nei docenti a scuola?
Ci troviamo in un tempo in cui questi temi non vengono affrontati, o ancora peggio vengono scaricati sugli studenti senza mai affrontarli seriamente.
Io credo che quella della salute mentale dei docenti sia una piaga a scuola.
Un problema che deve essere affrontato con coraggio anche dal sindacato.
Il sindacato deve prendersi cura non solo dei contratti ma anche degli affetti, delle emozioni che i lavoratori precari portano ogni giorno nelle loro cabine.
IL MERCIMONIO DEI CREDITI
Un altro tabù del sistema formativo degli insegnanti (e di cui si parla poco) è che oggi per diventare insegnanti servono i soldi. Certo. Per diventare insegnante servono tante cose. Serve formazione, professionalità, competenza, stile e desiderio.
Sono indispensabili come in un avvocato, in un chirurgo o in un ingegnere.
Ma serve tanta tanta tanta pazienza.
Mi sono laureato in Psicologia presso l’Università Cattolica di Milano nel 2011, lavorando notte e giorno per pagarmi gli studi (25.000 euro) e poi scoprire che la laurea in psicologia per diventare insegnante non bastava.
Sì, perchè per accedere alla classe di concorso A018 (scienze umane e filosofia) non basta una laurea triennale e specialistica.
Servono altri 36 crediti in discipline come pedagogia, sociologia, filosofia e 24 crediti formativi in materia psicologiche, pedagogiche e didattiche che magari hai già sostenuto all’università.
Quindi prima assurdità, nonostante la laurea in psicologia sono necessari altri crediti in materie psicologiche, pedagogiche, sociologiche, antropologiche.
Altri 2800 euro per acquisire i 36 crediti e altri 2000 euro per i famosi 24 CFU formativi ai fini dell’insegnamento.
Perché un credito l’università te lo fa pagare 80 euro in media.
Oppure?
Oppure prendi il formato 5×1 come all’Esselunga e ti fanno lo sconto di 50 euro sul totale.
Quindi cosa succede?
Succede che entri nel mercato nero delle università telematiche che rispondono in breve tempo ad ogni tua esigenza e con una formazione scarissima (basta pagare 2000 euro) acquisisci questi 24 crediti poco prima che parta il concorso.
Ma non basta. E qui arriviamo nel nostos dei concorsi abilitanti e non.
GLI SCONCORSI
Il primo concorso viene bandito nel 2018 ma io lavoravo in quella agenzia formativa. Nel 2020 vengono banditi sia il concorso ordinario e quello straordinario abilitante.
Io posso assolvere il concorso ordinario ma non quello straordinario abilitante perché servono almeno tre anni di esperienza nella scuola pubblica ed io quell’anno ne avevo solo due. Nonostante dieci anni di precariato (otto presso l’agenzia formativa e due nella scuola pubblica) non avrei potuto partecipare a quello straordinario.
Così provo il concorso ordinario nel 2020 che per statistica è più difficile perché prevede molti candidati, uno scritto molto selettivo con 70 domande a crocette sulla tua disciplina, informatica e inglese e in un secondo momento un’ orale (di almeno un’ora) con presentazione di lezione didattica in inglese.
Inizia la pandemia per Covid e il concorso ordinario viene spostato nel 2022 (quello straordinario invece si svolge regolarmente con organizzazione secondo norme).
Supero al meglio sia lo scritto che l’orale su circa mille candidati in Piemonte nel Luglio 2021.
Sono convinto che la domanda per la scelta della scuola territoriale per l’anno di prova sia nel 2022, ma non accade.
Perché?
Perché la commissione regionale di valutazione della Lombardia (scelta come regione Polo del Nord Italia) cambia e siccome non è possibile concludere le valutazioni per i candidati del nord Italia in quell’estate, tutto viene rimandato di un anno.
Solo dopo ho capito che la remunerazione per ciascun membro della commissione di valutazione dei candidati è di cinquanta centesimi l’ora e che se qualche membro della commissione chiede ferie per andare al mare, può non essere sostituto. Ma non è un problema che riguarda i candidati valutati.
Intanto nell’inverno del 2022 esce il concorso straordinario BIS.
Vi chiederete perché bis?
Perché da logica esiste un primer.
Il concorso straordinario primer viene bandito anch’esso nel 2020 ma non viene mai più realizzato con il cambio governo Draghi (20 euro di iscrizione per fortuna persi e mai più restituiti).
Insomma questi concorsi sono un po ‘ come le competizioni di Lewis Carroll: vengono fatti all’indietro.
Supero al meglio anche il concorso straordinario bis e nel Luglio 2022 mi trovo in questa situazione assurda: ho passato due concorsi ma non sono ancora di ruolo.
POST-SCONCORSO
Non è finita.
Una volta passato il concorso straordinario bis (che paghi 150 euro e che andrai a fare in una città improbabile del Piemonte a tua spese) servirà un’altra formazione presso la scuola Polo territoriale con cinque corsi formativi su: educazione civica, inclusione sociale e interculturale, educazione alla transizione ecologica e al piano di rigenerazione, innovazione didattica. Una volta svolta questa catechesi si riceve il battesimo cioè il patto di sviluppo professionale.
Segue l’anno di prova con una commissione interna nella scuola in cui eserciti e altri cinque crediti universitari in: pedagogia sperimentale, didattica inclusiva, tecnologie didattiche, gamification e ICT e conduzione classe. Lezioni che svolgi presso l’università di Torino.
Il costo operazione per i cinque CFU è di 350 euro più le spese di treno e alloggio sempre a tuo carico.
Una trafila che neanche gli ingegneri di Space X.
Si tratta di una formazione non dico inutile, ma ridondante per chi ha già una formazione nelle scienze umane.
Ma ormai si è dentro la macchina e si conclude per dovere e imperativo morale.
Insomma per diventare insegnante di scienze umane servono circa 35.000 euro.
COSA HO IMPARATO DAGLI SCONCORSI?
Cosa ho imparato da questi concorsi “ordinari” e “straordinari” per avere il famoso “posto fisso”?
1) La lotta di classe disagiata tra docenti. Ogni mattina in Italia quando sorge il sole un precario di III fascia si sveglia. Sa che dovrà correre più del precario di II fascia ad esaurimento o verrà ucciso. Ogni mattina in Italia quando sorge il sole un precario di II fascia si sveglia e sa che dovrà correre più dell’insegnante di III fascia o morirà di fame.
E’ una corsa a punteggio che risponde ad un precisa logica darwinista.
Una lotta per la sopravvivenza. Una volta arrivati al concorso bandito, i docenti si riconoscono come servi e padroni: quelli di prima e di seconda fascia, quelli con cattedra piena e spezzata, i diurni e serali, i supplenti e i docenti. Sudisti e confederati. Come cannibali in Honduras dentro una specie di game of thrones regionale.
Alla fine della corsa, si ritrovano tutti (per una media di dieci anni) in una graduatoria ad esaurimento o a fare il supplente di sostegno.
Dopo anni di incontri con l’abisso e il disagio, l’abisso guarda te e si diventa disagiati. E quando si arriva alla disperazione, si entra di sfondamento con l’articolo 59 del codice Rocco. Quelli che invece non ce la fanno, si riuniscono in gruppi Telegram e occupano il loro tempo a fare ricorsi e controricorsi a commissioni ministeriali che non esistono più.
2) La rabbia sublimata. Ecco che la rabbia del docente diventa prima lotta apparente e poi cinismo. Gli insegnanti adulti trovano i loro sindacati di riferimento. Si tratta spesso di piccole lobby non confederate, di avvocati azzeccagarbugli che, sfruttando l’analfabetismo in giurisprudenza degli stessi, vendono tessere della LIDL con la promessa che porteranno la loro causa alla Corte Costituzionale Europea (quindi mai).
3) Senilità innocente. Gli insegnanti ormai “adulti” si scoprono senescenti. Si sentono già vecchi ancor prima di insegnare. I governi cambiano e ogni anno le bollette aumentano. Non c’è più tempo e quindi molti di questi docenti si danno alle scienze motorie, come alla religione e al potenziamento. Altri ancora alle “materie alternative” su Only fans. Gli indecenti senili non votano più il Partito Democratico ma Fratelli D’Italia perché è l’ultima spiaggia. Così si fanno aggiungere nei gruppi Novax di whatsapp e guardano Byoblu con la stessa passione con cui seguivano Superquark.
4) Mortalità indecente. Gli insegnanti senili entrano in deflazione psichica e saturazione depressiva, si imbottiscono di farmaci, arricchiscono i colleghi psicoterapeuti che ce “l’hanno fatta” e per invidia, si abbonano a video training di Walter Nudo.
GLI STIPENDI DEI DOCENTI IN ITALIA
Tutto questo ne vale la pena?
Sì, se ti piace e godi del tuo lavoro che è anche un lavor-io. Un lavoro su se stessi continuo.
Sì, nonostante gli stipendi tra i docenti italiani siano i più bassi nella media europea.
Qualche dato.
Il nuovo rapporto Ocse 2023 conferma l’abisso retributivo tra docenti italiani e colleghi europei.
Le retribuzioni dei docenti italiani sono notevolmente più basse rispetto alle retribuzioni medie degli insegnanti europei di tutti i gradi di scuola.
Per quanto concerne gli stipendi iniziali il differenziale maggiore riguarda gli insegnanti della scuola primaria (6,6%).
Le differenze retributive sono ben più evidenti se gli stipendi degli insegnanti italiani si confrontano direttamente con quelli di colleghi di singole paesi europei più omogenei al nostro. Ad esempio, tra un docente italiano e uno tedesco delle superiori la differenza è del 128%.
Cioè lo stipendio del tedesco di scuole superiore è il doppio di quello italiano.
IL LICEO DEL MADE IN ITALY E L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA
Ora a tutto questo ambaradan, aggiungiamo le due riforme sul sistema dell’istruzione: il liceo del made in Italy e l’autonomia differenziata.
La riforma del Liceo del Made in Italy è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 300 del 27 dicembre la Legge 206 del 27 dicembre 2023 recante “Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy”.
Me lo sono andato a leggere mentre mangiavo pan di stelle e mi è andato il latte senza lattosio di traverso.
Si legge sul sito del Miur: attraverso questo nuovo percorso liceale, attivo dall’anno scolastico 2024/2025, gli studenti possono esplorare gli scenari storici, geografici e culturali per comprendere le peculiarità del tessuto produttivo italiano e l’evoluzione sociale e industriale del Paese. Il percorso formativo permette di acquisire competenze specifiche per la gestione d’impresa, sulle strategie di mercato e sui processi produttivi e organizzativi, preparando gli studenti alle sfide imprenditoriali. Combinando teoria e pratica, offre un approccio educativo multidisciplinare con sbocchi professionali in tutti i settori di eccellenza del Made in Italy.
Ma in cosa consiste e quali saranno le sue caratteristiche principali? Equiparabile a tutti gli altri licei esistenti (classico, scientifico, artistico, linguistico, etc), questo indirizzo dovrebbe debuttare entro il prossimo anno, a meno di rallentamenti o ripensamenti dell’ultima ora. Inizialmente, il destino del nuovo indirizzo scolastico sembrava legato a doppio filo con quello del già esistente LES (il Liceo Economico e Sociale), il quale non dovrebbe essere abolito ma avrà la possibilità di coesistere col nuovo istituto. Tale scelta rimuove l’obbligo del LES di confluire nel nuovo liceo, permettendo la convivenza dei due indirizzi, a patto che la quantità totale delle classi non aumenti.
Questa decisione risponde alle preoccupazioni esternate dalla rete LES circa le sfide nella preparazione del nuovo percorso e nell’orientamento dei ragazzi e delle famiglie.
Leggendo i commi 4 e 5 dell’art. 18 si smentisce, di fatto, il contenuto del comma 1 del medesimo articolo per cui l’attivazione di prime classi del Liceo del made in Italy, almeno per l’anno scolastico 2024/2025, non costituisce affatto un’ articolazione del sistema dei Licei, ma una “opzione” del Liceo delle scienze umane con “annessa confluenza obbligatoria” dell’opzione economico-sociale nel nuovo liceo.
Quindi “un opzione” ma “con annessa confluenza obbligatoria”. Il liceo con opzione economico sociale sarà sostituito dal Liceo del Made in Italy.
Tradotto: eliminare le scienze umane e la filosofia per aggiungere maggiori discipline in economia, marketing d’impresa, business e gestione d’azienda.
Manco Bateson e la psichiatria di Palo Alto avrebbero potuto fare meglio.
Non è trascurabile per altro la frase “rispettando l’invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica”.
Quindi si dice: togliere docenti di scienze umane e filosofia e raddoppiare i docenti di diritto ed economia a costo zero. Ti piace vincere facile?
Una capolavoro di giurisprudenza e propaganda che per fortuna il collegio docenti dei LES hanno rispedito al mittente con 500 licei su 600 contrari. Un flop che adesso voglio vedere come comunicheranno.
Ma il punto per me è un altro.
Non è possibile comprendere il liceo del Made in Italy con tutto quello che vi ho raccontato sopra e dentro una più ampia e assurda riforma come quella dell’autonomia differenziata.
Avrebbe senso avere 20 sistemi scolastici diversi in Italia? Sarebbe una follia, nel momento in cui dovremmo impegnarci per allineare i sistemi formativi a quelli europei, la certificazione delle competenze, i titoli.
Io difendo l’autonomia delle regioni in materia di programmazione e organizzazione, ma le norme generali, le linee guida, le deve fissare lo stato e debbono valere per tutto il territorio nazionale così come richiedono i nostri principi costituzionali.
Non serve occuparsi di istruzione e competenze. Ce ne sono troppe!
Vorrei vedere piuttosto lo stesso zelo e impegno per l’edilizia scolastica dove ancora il 70% degli edifici scolastici italiani non rispondono a normativa antisismica.
L’autonomia differenziata era già in atto nella scuola. Oggi si è solo rivelata nelle sue storture e nei suoi orrori.
LA SCUOLA HYDRA E VITRUVIANA
Abbiamo di fronte due strade e c’è poco tempo: la scuola dell’Hydra o la scuola umana.
Possiamo scegliere di avere una scuola Hydra, un mostro mitologico a cinque teste dove ad ogni testa tagliata ne compare un’altra: la scuola azienda, la scuola parcheggio, la scuola centro commerciale, la scuola di élite.
Oppure possiamo impegnarci ogni giorno per costruire una scuola vitruviana, una scuola umanistica a più braccia e gambe.
Una scuola socratica, dove si scambiano idee, una scuola del dubbio, che insegni a pensare. Una scuola che giri intorno alla persona che abbia coscienza del valore della democrazia e del dialogo, che abbia un’attenzione speciale all’ecologia. Una scuola laboratorio, un cantiere dove non si riempiono teste vuote ma si costruiscono teste ben fatte. Una scuola che faccia dell’educazione la sua vocazione politica. Una scuola che sia Una, Unità, Unica nel suo genere.